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Informazioni e consigli sulla crescita e la salute del bambino,
solo da medici pediatri e professionisti qualificati.

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Enuresi

neonato su letto bagnato dalla pipì

La pipì a letto, un problema “sociale”

Bagnare a letto durante la notte è una situazione molto più ricorrente di quanto si immagini e la cosa, per lo meno sotto ai sei anni, non dovrebbe destare allarmismo o preoccupazione nelle famiglie.

Bagnano a letto …

circa il 40% dei bambini a 3 anni;

circa il 10% dei bambini a 6 anni;

circa il 5% dei bambini a 10 anni;

circa il 3% dei dodicenni;

circa l’1% dei diciottenni e…

circa lo 0,5% degli adulti.

Anche al di sopra dei 6 anni, quando più propriamente si parla di enuresi, molto spesso si tratta solo di un ritardo di maturazione della capacità di trattenere le urine che tende spontaneamente a risolversi, come testimonia il fatto che solo l’1 % degli adolescenti presenta ancora il problema.

D’altra parte, complice la tendenza tipica dei nostri tempi a bruciare le tappe e a considerare patologico ciò che non rientra nei tempi attesi (eliminazione del pannolino e passaggio al vasino entro i 2-3 anni e comunque prima dell’ingresso nella scuola materna), la pipì a letto rimane per molti bambini lo scoglio da superare prima di essere considerati “grandi”. La complessità e i ritmi frenetici della vita moderna contribuiscono ad aumentare la tensione nell’ambiente familiare e in particolare nel rapporto madre-bambino, messo a dura prova dalla perdita di preziose ore di sonno, dai frequenti cambi di lenzuola, da rimbrotti e colpevolizzazioni, per altro controproducenti ed ingiuste.

Le cose si complicano ulteriormente nel bambino grandicello o addirittura nella preadolescenza, quando le esigenze di socializzazione e la sensazione di non essere “come gli altri” rischiano di comprometterne l’autostima, la percezione di sé, le relazioni con i coetanei, la qualità di vita e anche la performance scolastica.
Ecco perché l’enuresi, problema destinato a risolversi definitivamente e spontaneamente nella gran parte dei casi, di fatto quasi sempre ha un impatto negativo sul piano psicosociale, che diventa il motivo principale della terapia.

Cos’è l’enuresi

L’enuresi consiste nella perdita involontaria e completa di urina durante il sonno ad un’età (6 anni compiuti) in cui la maggior parte dei bambini ha ormai acquisito il controllo degli sfinteri. I maschi la presentano più frequentemente delle femmine.

Si parla di enuresi primaria quando il bambino non ha mai acquisito il controllo notturno o di enuresi secondaria, se torna a bagnare il letto dopo aver acquisito per 6 mesi consecutivi il controllo delle urine.
L’enuresi si definisce anche monosintomatica se durante il giorno mancano sintomi come l’esigenza di fare pipì spesso, la necessità irrefrenabile di fare pipì o la perdita involontaria di urina. Quando, come avviene più frequentemente, questi sintomi diurni sono presenti, l’enuresi di dice non monosintomatica.

Le cause dell’enuresi

Esiste chiaramente una predisposizione familiare: molto spesso i genitori o i familiari di bambini che bagnano il letto hanno presentato lo stesso problema nella loro infanzia. Infatti l’enuresi interessa il 43% dei figli di padri enuretici, il 36% dei figli di madri enuretiche e, il 77% dei figli di coppie in cui sia il padre che la madre presentavano a loro volta questo problema. In alcuni casi sono stati anche identificati i geni collegati all’enuresi. Più frequentemente sono interessati i maschi.

Nella maggior parte dei casi non esiste una causa precisa (si parla pertanto di enuresi idiopatica) ma l’enuresi può essere provocata da tre meccanismi, più o meno “mescolati” tra loro a seconda dei casi:

1. difficoltà a risvegliarsi dal sonno: alcuni studi dimostrano che i bambini con enuresi faticano a svegliarsi in seguito ad un rumore o ad un suono, suggerendo appunto che vi sia un difetto nel meccanismo nervoso che regola la sensibilità a vari stimoli, tra cui anche il senso di vescica piena;

2. eccessiva produzione di urina di notte; i fattori che possono causarla sono:

  • bere prima di andare a letto: molti bambini non bevono un’adeguata quantità di liquidi al mattino e nel primo pomeriggio, soprattutto nei giorni di scuola; arrivano a casa assetati e la maggior parte dei liquidi viene assunta nel tardo pomeriggio e la sera, fatto che favorisce l’eliminazione di urina durante la notte;
  • mangiare prima di andare a letto: infatti le sostanze derivate dalla digestione del cibo assunto devono necessariamente essere eliminate dai reni, “trascinando” con sé necessariamente dell’acqua, e quindi formando più urina;
  • scarsa secrezione di un ormone prodotto dall’ipofisi, detto ADH, che solitamente agisce “concentrando” le urine in modo che la notte si formi molta meno urina che durante il giorno. In alcuni bambini enuretici la produzione iniziale di minori quantità di ormone si normalizza in ritardo rispetto agli altri;
  • eccessiva assunzione di caffeina (contenuta tra l’altro anche nel thé ed in alcune bibite);

3. scarsa capacità notturna della vescica a contenere le urine: in alcuni bambini che bagnano il letto la vescica sembra svuotarsi la notte quando ancora non è piena, forse per uno scarso funzionamento del muscolo (sfintere uretrale) che, contraendosi, blocca l’uscita dell’urina dalla vescica oppure per un eccessivo funzionamento di un muscolo (detrusore) che contraendosi spinge fuori l’urina dalla vescica.

Le forme idiopatiche sono le più frequenti nell’enuresi primaria, ma anche in quella secondaria, in quanto si ritiene che anche quando l’enuresi ricompare dopo che il bambino sembra avere acquisito stabilmente il controllo delle urine, esista comunque una predisposizione di fondo. Nell’enuresi secondaria, tuttavia, sono percentualmente più frequenti che nell’enuresi primaria i casi determinati da una malattia sottostante: in questi casi sarà compito del pediatra, con l’eventuale collaborazione dell’urologo-pediatra, escludere la presenza delle seguenti patologie: cistite, stitichezza, disturbi della respirazione notturna, ostruzione uretrale congenita, vescica iperattiva, vescica neurologica, diabete mellito, diabete insipido, epilessia.

Spesso nella forma secondaria entrano in gioco anche fattori psicologici, connessi con eventi “traumatici” della vita del bambino (nascita di un fratellino, inserimento alla scuola materna, separazione e tensione tra i genitori, lutti, improvvisi cambiamenti nelle abitudini familiari, ecc.).

La diagnosi

Per poter fare una diagnosi corretta ed impostare una eventuale terapia è fondamentale una completa anamnesi, cioè la raccolta accurata di informazioni sul problema da parte del pediatra.

Il medico porrà dapprima ai genitori alcune domande con lo scopo di ricercare eventuali sintomi di malattie che possono associarsi ad enuresi ed eventualmente potrà decidere di prescrivere degli accertamenti.
Successivamente verrà chiesto di fornire una serie di informazioni riguardanti gli episodi di enuresi, le abitudini alimentari e di assunzione di liquidi da parte del bambino, le modalità con cui urina durante il giorno e il modo in cui si scarica.
Il medico potrà avvalersi di un “diario minzionale” che il genitore dovrà compilare per un tempo minimo di 2 settimane

Infine il pediatra chiederà alla famiglia di segnalare eventuali episodi di natura psico-sociale che potrebbero avere innescato il problema. E’ importante che i genitori riferiscano al medico il disagio con cui il bambino e/o la famiglia vivono la situazione, in quanto la presenza e la gravità di questo disagio rappresentano il motivo principale per cui impostare una terapia.

Sulla base delle notizie raccolte il pediatra potrà prescrivere degli accertamenti, tra cui un esame urine completo, un’urinocoltura, e, a seconda del sospetto diagnostico, un’ecografia dei reni e delle vie urinarie una cistouretrografia minzionale, uno studio urodinamico, una risonanza magnetica del midollo spinale o una visita ORL.

Cosa fare prima dei 6 anni

Sotto i 6 anni bagnare il letto è una situazione abbastanza comune e “normale” e, come tale, andrebbe gestita rassicurando i genitori, spesso condizionati dal fatto che famiglie ed educatori si aspetterebbero che un bambino non bagni più a letto entro i 3-4 anni. Sebbene, dunque, sia molto importante abituare il piccolo all’uso del vasino, è anche bene non forzare i suoi tempi e accompagnarlo serenamente durante questo periodo di passaggio, eventualmente adottando semplici stratagemmi e abitudini.

Se il bambino bagna il letto tutte le notti da sempre è molto probabile che semplicemente non abbia ancora raggiunto la maturità fisiologica che gli consentirebbe di controllare in modo automatico la minzione anche nel sonno. L’atteggiamento migliore da assumere, in questi casi, è la pazienza eventualmente coadiuvata da qualche piccolo accorgimento:

  • abituare il piccolo a fare la pipì prima di andare a nanna;
  • evitare di dargli latte, camomilla o tisane nelle ore che precedono il sonno;
  • non stressarlo con inutili rimproveri e continue lamentele. In particolare, se non sembra soffrire, è meglio dargli ancora del tempo prima di considerare la pipì a letto un problema investendolo di questa consapevolezza;
  • evitare di svegliare il bambino durante la notte per accompagnarlo in bagno. Questo, probabilmente, potrebbe servire a non dover cambiare lenzuola o coperte, ma non sarebbe di alcun aiuto per il bambino. Meglio optare, piuttosto, per un pannolino da eliminare definitivamente nel momento in cui il numero delle notti asciutte superi quello delle notti bagnate.

Nel caso in cui il bambino torni improvvisamente a bagnare il letto quando sembrava avere raggiunto un buon controllo, il motivo potrebbe essere ricercato in cambiamenti o “traumi” intervenuti a stravolgere la routine del bimbo (per esempio, la nascita di un fratellino, l’inizio della scuola materna, una malattia…). In questi casi varrebbe la pena capire quale potrebbe essere stata la causa scatenante (spesso di ordine psicologico) rassicurando il bambino e i genitori. Il consiglio è comunque di non sottolineare il problema della perdita di urine per evitare di traumatizzarlo ulteriormente compromettendo la sua autostima. Il ritorno temporaneo all’uso del pannolino durante la notte, in attesa che il “momento critico” venga pian piano elaborato, può essere utile.

Cosa fare dopo i 6 anni

Se, anche a questa età, l’enuresi nella maggior parte dei casi tende a risolversi spontaneamente, perché trattarla?

Il motivo principale è ridurre il senso di imbarazzo e l’ansia del bambino e il senso di frustrazione della famiglia, permettendo al bimbo di condurre una vita normale, senza che debba ad esempio rinunciare ad occasioni quali campeggi, gite scolastiche, soggiorni in casa di amici.

La terapia sarà scelta dal medico di volta in volta, sulla base dell’orientamento diagnostico e anche delle caratteristiche del bambino e della famiglia, tra i seguenti possibili approcci terapeutici:

  • terapia comportamentale
  • sllarmi notturni
  • terapia farmacologica

bambino seduto sul gabinetto

Terapia comportamentale

Non vi sono evidenze scientifiche che ne dimostrino chiaramente l’efficacia, tuttavia nella pratica clinica, e in situazione selezionate, essa sembra produrre effetti positivi. Il suo obiettivo è il raggiungimento da parte del bambino di buone abitudini nello scaricarsi e nel fare la pipì.

Raccomandazioni per la terapia comportamentale:

  • fate urinare il bambino ogni mattina al risveglio;
  • incoraggiate il bambino a non trattenere a lungo le urine, urinando almeno ogni due ore (a scuola almeno diverse volte), e comunque evitando di arrivare alla necessità irrefrenabile di fare pipì;
  • avvisate gli insegnanti, chiedendo loro che consentano al bambino un facile accesso al bagno;
  • incoraggiate il bambino a bere molto al mattino e nelle prime ore del pomeriggio, minimizzando l’assunzione di liquidi dopo cena (a meno che egli non svolga di sera un’attività sportiva);
  • incoraggiate il bambino a scaricasi ogni giorno, preferibilmente dopo colazione e prima di andare a scuola· Favorite una dieta ricca di alimenti che ammorbidiscono le feci e priva di alimenti che favoriscono la stitichezza;
  • incentivate nel bambino un’attività fisica regolare, evitando prolungate sedute davanti alla tele o al computer.

Questo approccio richiede una famiglia collaborante, un bambino motivato, pazienza, e tempo (almeno 6 mesi). Determinante anche la motivazione del medico e la sua capacità di stabilire un rapporto di fiducia col bambino al fine di stimolarne e poi sostenerne la motivazione. D’altra parte i familiari devono essere consapevoli che non si tratta di una battaglia o di una corsa al successo, e che piccoli ma costanti progressi sono un obiettivo più realistico.

Allarme notturno

Consiste in pratica nell’utilizzo di un apparecchio dotato di un sensore che, applicato sulle mutande o sul pigiama, attiva una suoneria non appena il bambino comincia a perdere urina. Viene utilizzato soprattutto nei paesi anglosassoni.

Gli studi scientifici sembrano indicare che questa terapia funziona in circa il 60% dei casi. I miglioramenti solitamente cominciano a verificarsi già nel primo mese, anche se il bambino può talora continuare a bagnare sporadicamente il letto per 3-6 mesi. Il trattamento deve durare almeno un mese, oltre il quale, in caso di insuccesso, deve essere sospeso. Sono possibili ricadute, anche frequenti (secondo alcuni studi anche fino al 60% dei casi), in cui però spesso la ripresa della terapia è coronata da successo.

L’allarme è meno indicato nei casi in cui l’enuresi dipende soprattutto da un aumento della produzione notturna di urine, in quanto esso agisce solo aumentando la capacità vescicale e la risvegliabilità notturna del bambino. Richiede una famiglia collaborante e un bambino motivato, per cui è spesso più applicabile in ragazzi più grandicelli. Inoltre, la scelta di ricorrere all’allarme deve tener conto di alcuni aspetti pratici, che è bene discutere prima con la famiglia: da considerare soprattutto che l’allarme può provocare il risveglio di altri membri familiari (un genitore turnista, un fratellino piccolo, un anziano), e che è comunque necessaria l’assistenza notturna dei genitori, in quanto spesso il bambino interrompe la minzione, ma non si sveglia, ed è il genitore che deve accompagnarlo a svuotare completamente la vescica, dopo di che l’allarme va resettato e posizionato nuovamente.

Terapia con farmaci

Il pediatrà potrà eventualmente individuare i casi in cui sia utile il ricorso alla terapia famacologica. La desmopressina funziona riducendo la quantità di urina prodotta di notte, anche se sembra anche avere un benefico effetto sulla risvegliabilità notturna del bambino. Il farmaco viene somministrato sotto forma di compresse (lo spray nasale non viene più utilizzato), 1 ora prima di andare a letto, cominciando con una dose bassa che può gradualmente essere aumentata se tardano a comparire gli effetti desiderati. Molto pochi gli effetti collaterali, che possono essere prevenuti seguendo correttamente le istruzioni del medico.
Altri farmaci, gli anticolinergici, sono specificamente indicati nei casi di vescica iperattiva o di vescica neurologica.

Enuresi ed autostima

L’autostima è, in psicologia, il modo di vedere se stessi e il grado di fiducia nel proprio valore, nelle proprie capacità e nella propria importanza. Essa dipende sia da fattori interni, cioè dalla visione soggettiva della realtà e di se stessi, sia da fattori esterni, come ad esempio i successi che si ottengono e la qualità dei “messaggi” di approvazione o disapprovazione che si ricevono dalle persone che contano.

Nella nostra cultura, uno dei passaggi critici nell’acquisizione dell’autostima che il bambino si trova ad affrontare in età prescolare è quello del raggiungimento del controllo sfinterico. Si tratta di un evento importante e delicato che coinvolge il bambino e i suoi genitori.

La reazione dei genitori di fronte all’enuresi può essere di vario genere: possono essere presenti rifiuto e rabbia, tentativi di sdrammatizzazione e insofferenza mal celata. I diversi atteggiamenti possono portare a mettere il bambino in ridicolo e a infliggere punizioni o al contrario a riversare su di lui maggiori attenzioni e premure. In ogni caso il tipo di risposta dato avrà influenza sul sintomo e sulla modulazione dell’autostima. È molto importante aver sempre presente che si tratta di un disturbo non volontario, per cui non è pensabile chiedere al bambino di controllarsi.

Da un punto di vista psicologico è bene ricordare i seguenti consigli:

  • il bambino non va mai sgridato: è dimostrato che il rimprovero aggrava la situazione, mentre un atteggiamento comprensivo la migliora;
  • nel caso che anche i genitori abbiano sofferto di enuresi, comunicarlo al bambino può avere per lui un effetto rassicurante. Infatti sapere che anche il papà o la mamma hanno avuto lo stesso problema e lo hanno superato è per lui di conforto e aiuta la guarigione;
  • svegliare la notte il bambino per farlo urinare non solo non serve a nulla, ma può essere controproducente ed essere vissuto con una valenza punitiva: meglio mettere un pannolino in attesa che la crescita o le eventuali terapie intraprese risolvano il problema.

Nel caso in cui ci si venga a trovare in una situazione che presenta una sofferenza psicologica importante del nucleo familiare possono essere molto utili un percorso informativo approfondito per gli adulti di riferimento e spazi di ascolto per i membri della famiglia, per il bambino e per il preadolescente.

Piccoli trucchi quotidiani

Indipendentemente dal fatto che il medico decida o meno per una specifica terapia, esistono alcuni piccoli consigli che i genitori possono seguire per semplificarsi la vita e semplificarla al bambino, in attesa che la situazione migliori.

  • Evitare nel modo più assoluto di riprendere, umiliare o punire il bambino: il problema non dipende dalla sua volontà!
  • Parlare con lui della sua situazione, spiegandogli chiaramente le motivazioni e rassicurandolo; se anche un genitore è stato enuretico da piccolo, farne partecipe il bambino può aiutarlo a reggere la sua situazione.
  • Cercare di non somministrare liquidi dopo cena.
  • Fare urinare il bambino prima di andare a letto.
  • Svegliare il bimbo durante la notte per accompagnarlo in bagno è spesso inutile e anzi controproducente. Può comunque essere fatto un tentativo, di comune accordo col bambino, interrompendolo se la cosa sembra generare nel bambino ulteriore irritazione e sofferenza.
  • Se il bambino presenta sintomi anche durante il giorno, può essere utile la ginnastica minzionale.
  • L’utilizzo di un pannolino-mutandina potrebbe essere utile sul piano psicologico per rendere meno stressante la situazione sia per il bambino che per i genitori. L’uso del pannolino, infatti, potrebbe aiutare il piccolo ad affrontare più serenamente il senso di vergogna e di colpa.

La ginnastica minzionale

  • Il bambino deve andare in bagno ad urinare non appena sente lo stimolo.
  • Prima di urinare, il bambino può contare fino a 10, in modo da prendere consapevolezza della sua capacità di controllo dello stimolo. Durante la minzione, il bambino interrompe il getto una volta iniziato, per poi lasciarlo nuovamente fluire.
  • Nella minzione il bambino non deve avere fretta, rilassandosi del tutto dopo la prima spinta, in modo che lo svuotamento avvenga spontaneamente e senza sforzo, per poi effettuare un’ultima spinta per  svuotare completamente la vescica.

Pediatra libero professionista a Bergamo. Tutor di Pediatria per il corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Milano Bicocca.

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