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Se mio figlio ha già avuto il Covid-19, ora è immune?

Con la disponibilità dei test sierologici per la ricerca degli anticorpi contro Covid-19, molti genitori scelgono di farli effettuare ai loro figli per capire se abbiano avuto il Covid-19 e siano ora “protetti”.

Ma se una persona ha già avuto il Covid-19, è effettivamente immune e protetta da una nuova infezione o può ammalarsi ancora di Covid-19?

La risposta non è così semplice. Vediamo di capire perché.

Come si diventa immuni ad un virus o batterio?

Quando un microorganismo (batterio o virus che sia) penetra nel nostro corpo, il nostro sistema immunitario entra in azione:

  1. produce anticorpi, cioè molecole che hanno la funzione di riconoscere alcune parti dei microorganismo (dette antigeni) e quindi di combattere il microorganismo cui appartengono e
  2. produce “cellule memoria” (linfociti) che memorizzano il primo contatto col microorganismo in modo tale da riattivare prontamente il sistema immunitario ad un successivo contatto con esso.

Su questo principio si basano le vaccinazioni, che introducono nel corpo una parte del microorganismo (cioè i suoi antigeni) o anche in alcuni casi una “versione” molto meno aggressiva del microorganismo originale, in modo tale da stimolare il sistema immunitario senza provocare la malattia.

Quindi se una persona si è infettata  con un virus o un batterio diventa immune?

Teoricamente : quindi, quando ci si infetta con un microorganismo, in caso di successivo contatto con esso il nostro corpo è in grado di combatterlo molto meglio, e in alcuni casi di annientarlo completamente, impedendo che si abbia una nuova infezione. E’ quanto avviene ad esempio nel caso delle comuni malattie esantematiche dell’infanzia, come la varicella, la rosolia, il morbillo, oppure quando un bambino viene vaccinato contro il morbillo o la poliomielite.

In pratica però non sempre è così: alcune volte infatti l’immunità è solo parziale e temporanea, perché la prima infezione (naturale o provocata artificialmente con la vaccinazione), provoca una risposta del sistema immunitario che tende a scemare col tempo: è il motivo per cui ad esempio molte vaccinazioni richiedono periodiche dosi di richiamo per mantenere l’immunità nel tempo.

Anche l’influenza non provoca un’immunità duratura, perché il virus influenzale “muta” continuamente le proprie caratteristiche (gli antigeni) sfuggendo perciò continuamente agli anticorpi prodottidal sistema immunitario (come in un’eterna sfida di “guardie e ladri”). Ecco perché la vaccinazione antinfluenzale deve essere ripetuta annualmente per mantenere la protezione contro il virus.

E cosa succede con il Covid-19?

Purtroppo ancora poche sono le certezze al riguardo, sia perché Covid-19 è comparso da relativamente poco tempo e molti studi sono ancora in corso e daranno risultati solo nel tempo, sia perché i test sierologici (cioè i test che ricercano nel sangue del paziente gli anticorpi contro Covid-19) non sempre sono affidabili o danno risposte chiare. 

Vediamo perché.

Test sierologico positivo per anticorpi IgG: cosa significa

Una persona che al test sierologico risulta avere anticorpi IgG (gli anticorpi cioè che rimangono più a lungo nel sangue) contro Covid molto probabilmente ha in effetti avuto un’infezione da Covid-19: è normale riscontrare anticorpi IgG in chi ha avuto una malattia documentata da tampone positivo per Covid-19, ma è possibile anche in chi ha avuto un’infezione lieve o addirittura senza sintomi, anche se non è possibile sapere quando.

Test sierologico negativo per IgG: cosa significa

Una persona che non ha anticorpi contro Covid-19 può comunque avere avuto in passato un contatto, o addirittura avere avuto una vera e propria infezione da Covid-19, anche documentata da tampone positivo per Covid-19, se:

  • l’infezione non ha provocato una produzione di anticorpi in quantità sufficiente da essere individuata dal test sierologico;
  • nel tempo intercorso tra il contatto col virus e il test, il livello di anticorpi IgG nel sangue del paziente è sceso fino a diventare non riscontrabile dal test;
  • il test sierologico non è abbastanza affidabile (in particolare cioè non è abbastanza sensibile) mancando di individuare gli anticorpi nel sangue del paziente.

Inoltre, una persona con test sierologico negativo può avere teoricamente in corso un’infezione da Covid-19, perché gli anticorpi  IgG compaiono normalmente circa 2 settimane dopo l’inizio dei sintomi.

Anticorpi protettivi e non protettivi

I test sierologici si differenziano anche a seconda del tipo di anticorpo anti-Covid-19 che ricercano. Gli anticorpi rivolti verso la proteina cosiddetta “spike” del Coronavirus (la parte con cui il virus si attacca alle cellule del corpo infettandole) sembrerebbero avere un effetto protettivo, mentre altri (quelli ad esempio contro il nucleocapside) dimostrerebbero solo un precedente contatto col virus senza di fatto svolgere un’azione protettiva contro nuove infezioni. Meglio quindi, nel caso si esegua un test sierologico, rivolgersi ad un laboratorio che esegua il dosaggio degli anticorpi anti-spike, anche se lo stadio attuale degli studi non consente neppure in questo caso di avere garanzia, in caso di positività e anche di livello elevato di anticorpi, di essere protetti da reinfezioni.

Le “varianti” del Covid-19

Pur non essendo il Covid-19 un virus che tende a mutare molto, come ad esempio quello influenzale, tuttavia la sua elevata diffusione ha consentito ugualmente lo sviluppo nel tempo di alcune varianti (cioè “versioni” del virus con modifiche alla sua struttura) che si sono rivelate più contagiose (anche se non necessariamente più letali) della versione originale. Alcune di queste, come ad esempio la variante sudafricana e quella brasiliana, si sono rivelate in grado di infettare e fare ammalare nuovamente anche chi aveva già contratto il Covid-19 in precedenza.

Se mio figlio ha gli anticorpi  per Covid-19, è protetto?

Non è detto. Il fatto di avere anticorpi  IgG contro Covid-19 infatti  non indica necessariamente che la persona sia protetta contro Covid-19, perché molti anticorpi sono solo una spia del contatto precedente, ma non sono necessariamente protettivi (tecnicamente “neutralizzanti”). Ciò vale anche se l’infezione era stata a suo tempo documentata da tampone positivo per Covid-19.

Pertanto se il bambino risulta positivo al test sierologico ha probabilmente avuto contatto col virus, ma non sappiamo se ne è davvero protetto né per quanto tempo durerà tale protezione.

Per lo stesso motivo attualmente non ci sono le basi scientifiche per attestare, con certificati o con il cosiddetto “passaporto sanitario”, che  una persona può tranquillamente frequentare contesti sociali senza adottare le normali e comuni precauzioni di distanziamento sociale e protezione individuale (mascherina, lavaggio mani, uso del gel disinfettante, ecc.)

E l’immunità di gregge ci proteggerà dal Covid-19?

Si parla di immunità di gregge quando una larga  parte della popolazione (il gregge) è immune al virus. Ciò “rende la vita difficile” al virus, in quanto non riesce così a circolare facilmente nella popolazione, fino a che – quando la maggior parte della popolazione è protetta – la trasmissione  del virus si ferma del tutto. È quanto avviene ad esempio  per molti microorganismi  (virus polio, ad esempio) grazie alla vaccinazione di massa. La percentuale di persone immuni necessaria perché ci sia davvero una protezione di gregge varia a seconda del grado di contagiosità del virus. Nel caso del contagiosissimo morbillo, ad esempio, perché la vaccinazione sia davvero protettiva per tutti, bisogna che almeno il 95% della popolazione sia vaccinata.  Nel caso del Covid-19 si stimava che si dovesse  raggiungere circa il 65% di popolazione immune, ma la situazione si è complicata con la comparsa delle varianti, che hanno innalzato la soglia presumibilmente all’85-90%.

La vaccinazione ci difende dal Covid-19?

In vari paesi, e con tempistiche diverse (e ritardi) a seconda dei casi, sono in corso  le  campagne vaccinali contro il Covid-19. Il loro scopo non è solo quello di proteggere le singole persone (in particolare quelle più fragili, come gli anziani o i portatori di patologie croniche, o più esposte, come gli operatori sanitari), ma anche di contribuire massivamente a quella immunità di gregge che renderebbe molto difficile al virus circolare nella popolazione. La vaccinazione si è già dimostrata molto efficace nel prevenire complicazioni, forme gravi e ricoveri in terapia intensiva, anche se non completamente nel prevenire la possibile infezione da Covid-19 e la conseguente contagiosità del soggetto infetto (anche se questa risulta ridotta rispetto a chi, non protetto dalla vaccinazione, contrae il Covid).

Quindi se il bambino contrae il Covid deve essere ugualmente vaccinato?

Sì, è consigliabile, ma ad almeno 3 mesi dall’infezione. Se sono passati meno di 12 mesi dall’infezione riceverà una sola dose di vaccino. Se  sono passati più di 12 mesi riceverà due dosi di vaccino, come se non avesse contratto l’infezione.

E se contrae il Covid dopo essere stato vaccinato?

Dipende da quante dosi di vaccino ha ricevuto al momento dell’infezione:

  • Se contrae il Covid da 1 a 13 giorni dopo la prima dose riceverà la seconda dose da 3 a 6 mesi dopo l’infezione e poi una dose di richiamo dopo 5 mesi;
  • Se contrae il Covid prima della seconda dose di vaccino ma dopo almeno 14 giorni dalla prima dose non riceverà la seconda dose ma solo la dose di richiamo dopo 5 mesi;
  • Se contrae il Covid dopo aver ricevuto ambedue le dosi riceverà solo la dose di richiamo dopo 5 mesi dall’infezione.

Per concludere

Quindi, anche le persone che risultano positive ai test sierologici (tutti, adulti e bambini!) non possono essere sicure di essere immuni e protette da una nuova infezione da Covid-19 e devono continuare ad adottare tutte le misure di prevenzione, in primis distanziamento sociale, uso della mascherina e corretta igiene delle mani.

Pediatra libero professionista a Bergamo. Tutor di Pediatria per il corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Milano Bicocca.

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